Do Ut Des

Un mare di piombo con acqua di cristallo frantumato, disegna la cornice a due mani che raccontano l'atto risolutivo, che avviene in un'altra dimensione, di un'azione cruenta.

La forza espressa dalla composizione, identificata dall'attraversamento dell'arpione nella mano, viene attenuata e mitigata dall'eleganza e dall'accuratezza della lavorazione; la direttrice della perforazione, che avviene in direzione dorso  palmo, è significativa, a prima vista, di un'azione a tradimento, che avviene alle spalle, inaspettata. La mano dell'uomo e la mano della natura sono attori di "Do ut Des" in una composizione metaforica attraverso cui Sebron vuole esaltare, ancora una volta, il precario equilibrio che governa il ciclo vitale. Il titolo dell'opera, dare per ricevere, ma egualmente, rapporto biunivoco o relazione alla pari, denuncia e giustifica, attraverso quest'ambientazione marina, la rivalsa delle forze della natura. Non, quindi, un'azione di tradimento o la rappresentazione della vendetta, ma la risposta bilanciata ad azioni irrazionali che generano reazioni logiche.

Con questo inno all'equità Sebron vuole valorizzare ed esprimere un'etica sociale protesa nella direzione della giustizia, un concetto apolitico, refrattario a tendenze, che fa ponderare sulle calamità naturali, giudicandole non tanto come avvenimenti straordinari, ma come la risposta, reattiva, della natura nei confronti delle nostre azioni. E al centro del pensiero e dell'opera, la terra. 

Opera inventariata nella collezione del Museo Internazionale delle Ceramiche (MIC) - Ottobre 2018